Questo mese dopo la perdita o la dimenticanza di un oggetto quotidiano, ci soffermeremo su ciò che esprime per noi il fatto di essere messi di fronte ad un furto di uno di questi oggetti. Che senso può avere il farsi derubare di una cosa che ci appartiene? Inizialmente vediamo il Principio di farsi derubare:
- In primo luogo, se il fatto di farmi derubare qualche cosa mi tocca, questo significa che ciò mi sottrae del valore per me. Effettivamente se mi si deruba, per esempio, di rifiuti depositati nella mia spazzatura, siccome questi non hanno valore per me, non ne sarò affatto toccato. (sono comunque abbastanza soddisfatto di sapere che tutte le mattine gli spazzini portano via il contenuto della mia immondizia.)
- Il secondo punto che concerne un furto è che non ho più in mio possesso l’oggetto che aveva del valore per me.
- Il terzo punto e che questa cosa – che aveva del valore per me - è ormai utilizzata da altri.
Abbiamo così tutti gli elementi per estrarre il Principio generale: Farsi derubare di un oggetto personale è un invito a riconoscere il proprio valore, a constatare che questo valore è riconosciuto dall’esterno e che circola quando non lo si tiene più.
Questo ci collega alla presa di coscienza del fatto che siamo tutti ricchi dell’essere unico che siamo e che solo noi – ciascuno di noi – può realizzare questo essere. A questo proposito, non resisto al piacere di citarvi questi estratti del magnifico discorso di investitura di Nelson Mandela: “chi siamo noi per essere così brillanti, così formidabili, così pieni di talenti, così pieni di risorse?
(...) Per chi vi prendete per non esserlo? ( …) Giocare a fare i piccoli non rende servizio al mondo. (…)
Se subiamo un furto di un oggetto, riteniamo dunque questo Principio per integrare ciò che esso rivela, sempre al servizio della nostra evoluzione.
Qualche esempio di furto al quale possiamo essere confrontati e sulla quale i lavoriamo frequentemente durante delle Giornate del Principio che sono, occorre dirlo, molto correnti:
Furto del proprio computer
Durante una di queste giornate, una giovane donna, mi domanda che cosa può esprime per lei il recente furto del suo computer.
Per rivelarne il senso, occorre, come sempre, cominciare col definire la funzione di questo oggetto:
Un computer funziona in modo binario (0/1) come il nostro mentale (positivo/negativo, bene/male, sì/no). D’altronde, i programmi informatici non sono stati chiamati intelligenza artificiale, perché funzionato esattamente come la nostra intelligenza, ovvero il nostro mentale?
Farsi rubare il proprio computer ha dunque come principio l’associazione di due elementi:
- il furto che abbiamo visto precedentemente
- il mentale
Si tratta di riconoscere la potenza della nostra intelligenza – e di utilizzarla – o ancora, di riconoscere in noi il valore del nostro mentale.
Non ignoro che la tendenza comune a molte iniziative spirituali è di lodare la distruzione del mentale per accedere alla coscienza. E’, a mio avviso, un profondo errore. In effetti, è grazie a questo mentale, che ci permette di discernere ciò che è buono da ciò che non lo è per la sopravvivenza , per questo siamo vivi fino ad oggi. Cominciamo con il ringraziarlo !
Successivamente, quando si comprende che le cose non hanno un valore positivo o negativo, buono o cattivo, questo discernimento è l’intelligenza messa al servizio della coscienza. In altre parole, ci appartiene di utilizzare ciò che i buddisti chiamano il nostro discernimento ad un grado al di là di quello della sola sopravvivenza animale.
Farsi rubare il computer parla dunque di riconoscere il valore del proprio discernimento,
Riassumendo, si mi faccio rubare il mio computer, posso comprendere che la vita mi propone di riconoscere la potenza della mia intelligenza e di metterla, a questo punto, al servizio della coscienza.
Furto dell’apparecchio fotografico
La funzione di un apparecchio fotografico è di catturare la veduta di un oggetto reale e di conservarla in memoria, dunque di fissarla sotto forma di immagine. E’ un fermare nel tempo per afferrare materialmente un momento o una cosa. Come se questo permettesse di materializzare un istante o un avvenimento. La scomparsa dell’apparecchio fotografico non permette più di catturare e di fissare una veduta, né di scegliere le cose, dunque in un certo modo , di arrestare il tempo. Si può dunque dire che è un invito a realizzare che il nostro valore si rivela quando cessiamo di voler catturare, fissare, provare, giustificare una cosa o un avvenimento. Si può dire che, ogni volta che restiamo attaccati a qualche cosa del passato, siamo nella sopravvivenza. La vita è sperimentazione permanente di situarsi ad ogni istante in adesione alla realtà tale e quale è, senza nessun attaccamento.
Furto dell’automobile
L’automobile come il suo nome ci dice è “auto” e “mobile” ci parla dunque del modo in cui siamo autonomi nella nostra azione di vita. In effetti l’etimologia della parola automobile viene dal greco: /se stesso e dal latino mobilis/ (sè/mobile che si collega ad autonomo (nomos/legge,regola/seguente la propria legge). Così nel Principio, farsi rubare la propria auto, parla di far circolare un valore fondamentale che è la capacità di agire per se stessi rispettando le proprie leggi. Essere autonomi significa essere liberi di sperimentare la propria verità, senza referenze, né paragoni, vale a dire al di fuori di tutte le abitudini di sopravvivenza del nostro inconscio collettivo o di tutte le autorità esterne. Questo senza essere identificati a ciò che siamo, ciò significa anche non giocare il ruolo di un personaggio di fronte agli altri. Per concludere, ricordiamo che tutti gli avvenimenti che ci toccano sono portatori di un Principio – una luce – che deve essere rivelata per permetterci di evolvere in coscienza, allo stesso modo ci appartiene di sperimentare ogni istante della nostra vita installandoci in una certezza che è un dono al servizio della nostra evoluzione.