Vivere un lutto in modo diverso (Néosanté n° 65 marzo 2017)

Occorre che il lutto si faccia!

Ho inteso molte volte questo genere di frase durante dei seminari che animo e mi sembra interessante interrogarci su questo articolo sulla natura di un processo di lutto seguendo la lettura bioanalogica.

Non si può negare che lo shock emozionale legato ad un decesso dipenda da parecchi parametri come le condizioni di questo decesso e i legami affettivi che s’erano con la persona deceduta.

Per esempio, si può supporre che un decesso dovuto ad una lunga malattia ha un impatto meno brutale che quello di un incidente o di un suicidio. Allo stesso modo il decesso di una nonna può essere risentito più dolorosamente di quello di una madre, se questa nonna aveva stabilito un legame molto forte con i suoi nipoti.

Lo shock può anche legarsi a delle conseguenze sociali dal punto di vista materiale: in effetti un decesso può cambiare completamente le condizioni di vita di un persona persino di una famiglia.

Culturalmente “fare il lutto” è considerato come un processo laborioso, lungo, doloroso, ma indispensabile. Che si tratti della pista classica che considera questo processo come necessario con il potere di “passare ad altro” o le tradizioni antiche hanno tutta una serie di rituali precisi di lutto da rispettare, questo processo sembra universale.

Elisabeth Kuble Ross ha definito perfettamente queste differenti tappe le chiama: la negazione, la collera, la contrattazione, la depressione e l’accettazione. Boris Cyrulnik che introduce il concetto di resilienza o “l’arte di navigare fra i torrenti” lo vede come un processo necessario della liberazione.

Riconosco la pertinenza dell’analisi di questi meccanismi e credo anche che un lutto debba essere terminato se si vuole “passare ad altro”. Ma la questione che pongo si situa ad un altro livello: Non c’è un altro modo di far fronte alla perdita di un caro che quello di rassegnarsi a “fare il suo lutto”?

Per questo partiamo dall’affermazione di Freud che dice che il dolore del lutto – che si attenua dopo un lungo processo – comporta una mancanza di interesse per il mondo esterno e l’impossibilità di amare e di amarsi.

Si constata allora che nel loro dolore, le persone piangono “chi è stato e che no sarà più o ciò che è stato e che non sarà mai più”.

Infatti la sofferenza della separazione è legata all’identificazione a ciò che non abbiamo vissuto.

E’ la ragione per la quale, a mio avviso, fare il lutto di un processo è un meccanismo di sopravvivenza e non di Vita! Si tratta di cambiare il nostro sguardo sul lutto e di considerarlo come una constatazione che si rivela quando si sceglie di vivere pienamente la propria creatività.

Il lutto non è un processo, è una constatazione

La legge del Principio ci permette – di fronte ad un avvenimento doloroso come quello di una separazione – di entrare direttamente in conttactto con ciò che non facciamo vivere rivelando il Principio neutro dell’avvenimento che ci tocca.

Per questo dobbiamo inizialmente affrontare l’avvenimento al di fuori di tutti gli affetti. Anche se la formulazione può apparire riduttiva – e anche un poco abbrutita con il lessico della Legge del Principio, si può tradurre così:

Ho sempre conservato in memoria la storia di quella donna che ha perso il suo figlio unico in un incidente, alla vigilia di venire ad uno dei miei seminari. Poco tempo dopo, lei è venuta a fare tutta la formazione che proponevo in bioanalogia.

Un anno dopo, il decesso di suo figlio mi ha detto: “Ciò che sto per dire, lo posso dire solo a te, perché credo che gli altri non potrebbero capirmi; non sono mai stata così viva come oggi”

Comprendiamo bene è evidente che non mi diceva che non era mai stata “così felice”... Non è di questo che parliamo, naturalmente. Ma attraverso queste parole testimoniava il fatto che l’integrazione del senso di questo avvenimento si era installato nella sua creatività unica.

Non era rimasta identificata a ciò che non poteva più vivere nè a ciò che avrebbe potuto vivere con suo figlio. Chiaramente, il dispiacere dovuto al decesso di suo figlio non era un freno alla sua realizzazione.

Diciamolo nuovamente, rivelare il Principio di un avvenimento necessita di passare attraverso uno sguardo neutro, senza alcun giudizio né interpretazione. Non si tratta di un esercizio mentale su ciò che rappresenta tal o talaltro essere caro che vi lascia, si tratta di estrarre il Principio neutro- non affettivo - dell’avvenimento attraverso la quale ci troviamo nella separazione.

Riassumendo, se si vuole “fare il lutto” si mettono le cause della nostra sofferenza all’esterno e si cerca di “lavorare” su questo. Si resta quindi nella dualità per sopravvivere.

Mentre l’integrazione che fa del lutto una constatazione non è un processo.

Questa constatazione testimonia che si sceglie di vivere lasciando la vita prendere senso e ci conferma che si prende la responsabilità di ciò che ci succede.

Scegliersi nel riconoscimento di sé, è scegliere la vita

Così l’identificazione all’avvenimento comporta un processo di sopravvivenza per riparare la ferita.

L’integrazione del Principio è un atto di vita.

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