La persona in morte cerebrale come il vivente: lo dichiarono due scienziati


Vi proponiamo un breve commento del Dr. Robert Truog (già coautore del noto lavoro “Ripensamento sulla morte cerebrale” 1992) al capitolo 1 del libro “Brain Death Person” (Persona in Morte Cerebrale) di Masahiro Morioka, professore di filosofia all'Università di Osaka, Giappone, scrittore e direttore dell'International Network for Life Studies.

Riteniamo che lo schema sotto riportato espliciti in modo chiaro ed inequivocabile che il cosiddetto morto cerebrale è un vivo che ha perso la coscienza, quindi la morte cerebrale è una finzione e l'espianto di organi un omicidio. 

Nerina Negrello-Presidente

Commento a “Persona in morte cerebrale” Capitolo 1

Robert D. Truog, MD (Harvard University)

Caro Professor Morioka,

ho molto apprezzato la lettura del primo capitolo del suo libro. Certamente l'esperienza di vita, di morte e di relazione in Giappone è diversa da quella in occidente. Eppure penso che il suo studio di differenziare i tre “stati dell'essere” – persona viva, persona in morte cerebrale e persona in morte cardiaca – sia una intuizione che è altrettanto utile nella cultura occidentale quanto, ne sono certo, nella cultura orientale.

Dire che le persone in morte cerebrale e le persone in morte cardiaca sono entrambe “morte” nello stesso modo è semplicemente insostenibile. Qui sotto c'è uno schema che uso nelle mie lezioni sulla morte cerebrale. Mostra che le persone in morte cerebrale e le persone vive condividono la più parte delle caratteristiche che normalmente associamo con l'essere vivi. Come si vede dallo schema le persone in morte cerebrale sono simili alle persone viventi in ogni espressione eccetto una – esse hanno perso la coscienza.

Caratteristiche delle persone vive
Persone Vive In Morte Cerebrale In Morte Cardiaca
Cuore che batte, calore, perfetta circolazione
No
Respiro
(con ventilazione) No
Funzionamento di organi vitali (fegato, reni...)
No
Capacità riproduttiva
No
Presenza della coscienza
No No

Se capisco bene, ciascuna di queste tre categorie, o “ambiti”, è associata ad una serie di regole o tradizioni che definiscono il modo che queste persone si rapportano con gli altri.

Ovviamente, queste tradizioni sono molto complesse e ben sviluppate per le categorie delle persone vive e delle persone in morte cardiaca. (…) Diversamente da queste prime due categorie, comunque, stiamo solo ora incominciando a definire (come società) le tradizioni e i ruoli che dovrebbero governare il nostro modo di interagire con le persone in morte cerebrale. Queste regole devono stabilire se queste persone possono essere donatori di organi e se i loro familiari possono chiedere che essi continuino ad essere curati in una unità di terapia intensiva.

Il punto di vista occidentale prevede che le regole per la persona in morte cerebrale e per quella in morte cardiaca siano le stesse. A me sembra che questo sia un terribile errore, giacché queste due categorie differiscono in molti modi – sotto il profilo medico, filosofico e sociale. (...)

Penso che il suo modo di presentare queste tre categorie e di spiegarne le differenze fra esse in termini di relazione con la gente sia una meravigliosa intuizione, molto utile.

(...)

Note:

Qualcuno potrebbe dire che il respiro sotto ventilazione non dovrebbe essere considerato come respiro giacché è artificiale. Ma noi non consideriamo le persone con quadriplegia cervicale come se fossero “mezze vive” per il fatto che richiedono una macchina per respirare, così come non consideriamo i malati con una cronica insufficienza renale “mezzi vivi” perché hanno perso la funzione naturale di un organo vitale (per esempio, i reni). In altre parole fin quando una funzione è presente, anche se è mantenuta artificialmente, dovrebbe essere considerata una proprietà della persona”.

(24 novembre 2001)

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